Giovane Imprenditore, apprendere ad apprendere

Giovane Imprenditore, apprendere ad apprendere

Dicono che gli esami non finiscono mai. Personalmente non ho un buon ricordo della scuola, in particolare delle superiori. Probabile che ci abbia messo del mio. Certo è che, anche quando lo svolgimento del temuto compito in classe mi portava un voto sopra la sufficienza, spesso era accompagnato da un meno meno. Posso capire per il 6 magari raggiunto a fatica, avrei avuto bisogno dell’interprete per capire il 7 meno meno. Non parliamo poi dei 4 meno meno. Era uno sbizzarrirsi, almeno peri professori, di messaggi tendenti in ogni caso al negativo. Per non parlare delle sottolineature del testo o dell’esercizio di matematica. Il pennarello che primeggiava era il rosso, a volte accompagnato dal blu. E anche quando il voto era sufficiente, le sottolineature degli errori quasi bucavano i fogli. Mi sottraggo dal riprodurre le osservazioni. Mai visto, ad esempio un pennarello verde o comunque di un colore tendente al delicato, che indicasse un passaggio ben fatto. Ricordo al liceo scientifico, nella mia classe di 24 alunni, al compito di matematica, normalmente una sufficienza, la maggior parte si suddividevano i 3 e i 4 e una piccola parte quasi gioiva per sentirsi come in un limbo per avere conseguito un 5. Ora mi chiedo che cosa si sarebbe dovuto scrivere sulla porta di quell’insegnante. Visto che il risultato del suo lavoro riportava una sola sufficienza, credo che avremmo potuto leggere “professore degli incapaci”. Ma, ai miei tempi, il professore “cattivo” era ritenuto quello bravo. Per meritarci una sufficienza c’erano da superare ogni sorta di trabocchetto e guarda caso vinceva quasi sempre lui. Ma il suo ruolo di insegnante non era quello di farci apprendere? Possibile che la quasi totalità degli alunni fossero dei cretini? Forse allora, fuori dalla porta di quell’insegnante, sarebbe stato meglio scriverci “il professore incapace”. Per molti di noi, per fortuna quei tempi sono finiti e non solo per quelle sottolineature delle insufficienze, ma anche per quei meno meno alle più che sufficienze, che caratterizzavano non tanto l’alunno, ma il professore.
Ora nel mondo del lavoro non ci sono più i voti. Forse c’è ancora qualcuno pronto a giudicare e rimarcare errori che come giovani, anche se imprenditori, ci capita di fare? Diciamo che potrebbe anche essere, o meglio passiamola così “a volte capita”. Oggi siamo cresciuti e in modo più compiuto sappiamo che dobbiamo essere i primi a crescere sul lavoro. Durante gli studi tante nozioni e nozioni, per fortuna qualche salutare conoscenza, ma poco niente con ciò che ha a che fare con il lavoro e con i rapporti che lo contraddistinguono.
Ecco che, varcata la porta dell’azienda, con l’abito di giovane imprenditore, a noi sta di imparare. Quasi come tornati a scuola ci ritroviamo sommersi di testi, tabulati, procedure, programmi, moduli e d’un tratto quelli che un tempo ci erano parsi come dei brutti sogni ora nuovamente prendono le sembianze di “esami”. Alcuni di noi hanno un carattere forte e se li fanno scivolare addosso, altri li sentono ancora come una preoccupazione. Il rischio è che entrambi perdano di vista che non devono dimostrare alcuna cosa a nessuno, invece debbono occuparsi di crescere, imparando ciò che sino a ora solo pochi gli hanno insegnato: “imparare ad apprendere”. Poco importa a riguardo di una o dell’altra materia, ma imparare un metodo per apprendere ad apprendere in un mondo più difficile rispetto alla scuola, in un mondo fatto di competizione, dove vige la legge “mors tua vita mea”.
Quando ora mi trovo in un colloquio preliminare con i futuri miei coachee, i destinatari dei miei interventi di coach, in particolare mi concentro sui 2 aspetti fondamentali: il rapporto fiduciario nei due sensi e che il mio ruolo sarà, prima ancora che di allenatore, di facilitatore. La mia attenzione sarà solo su di loro, perché apprendano ciò che a loro interessa apprendere, perché possano essere dei coach di se stessi, prima ancora che coach a supporto di altri.
 

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